La Diocesi di Montevergine: profilo storico
La diocesi di Montevergine è, storicamente legata, alle vicende della sua Casa monastica. La fondazione di un cenobio sul monte detto Vergine risale al XII secolo quando un giovane pellegrino, Guglielmo da Vercelli, dopo aver visitato alcuni tra i più importanti santuari medievali, si ritirò su quel monte a vita ascetica.
La Legenda de vita et obitu Sancti Guilielmi Confessoris et heremite, un codice riferibile al XIII secolo, riporta che San Guglielmo, durante uno dei suoi momenti di preghiera, ebbe in visione il Salvatore, che gli impose di costruire su quel monte una chiesa da dedicare alla Vergine e di mangiare solo cibi di stretta osservanza quaresimale.
Già a partire dal 1125, dalla documentazione archivistica custodita presso la Biblioteca Statale di Montevergine, si fa chiaramente riferimento ad un monastero intitolato a Santa Maria. Vi si evince inoltre in modo chiaro il ruolo di San Guglielmo dopo l’istituzione della comunità monastica. Viene infatti definito rettore e custode, così come il suo successore, il beato Alberto. Il titolo di abate comparirà nella documentazione archivistica solo a partire da Alferio, terzo superiore di Montevergine.
La consacrazione ufficiale della primitiva chiesa avvenne nella Pentecoste del 1126 ad opera del vescovo di Avellino Giovanni, che rilasciò una bolla nella quale il prelato, ricordando i trascorsi del fondatore Guglielmo, concede l’autonomia economica ed organizzativa.
Pochi anni più tardi il papa Alessandro III (1159 – 1181) concesse la piena esenzione dalla giurisdizione degli Ordinari del luogo rendendo Montevergine direttamente soggetta alla Santa Sede (Archivio di Montevergine, Perg. 2108). Tale disposizione era a carattere temporaneo ma fu ribadita da Lucio III (1181 – 1185) e da altri pontefici. Tuttavia è solo dall’ 8 aprile del 1261 che papa Alessandro IV (1254 – 1261) crea di fatto la nuova diocesi di Montevergine, detta abbazia Nullius. Tale Bolla venne ulteriormente specificata e confermata da papa Urbano IV il 13 gennaio 1264. La scelta di Alessandro IV aveva chiari connotati politici in quanto da un lato, il pontefice intendeva slegare santuario e religiosi dall’influenza sveva, dall’altra rafforzare la stessa autorità pontificia. Il monastero di Montevergine diventava di fatto di diretta dipendenza pontificia, insieme alle sue chiese, le grancie e luoghi in generale, soggetti a Montevergine. La medesima abbazia viene esentata in perpetuo, per grazia speciale, da ogni giurisdizione e potere di qualunque prelato (AMV, Perg. 2131).
In quel tempo erano di pertinenza di Montevergine il comune di Mercogliano, con le frazioni di Torelli, Torrette, Alvanella, Valle Ponticelli, Ospedaletto d’Alpinolo, il Casale di Massadiruta di Petina, il feudo di S. Giovanni dell’Acquara presso Castelbaronia ed il Goleto a cui si aggiunsero successivamente, dopo la donazione di Ludovico di Taranto (metà sec. XIV), il cosiddetto “feudo di Montevergine”, consistente nei comuni di S. Martino Sannita, S. Giorgio del Sannio e Apice.
Col passare dei secoli ci furono varie vertenze con Ordinari che rivendicavano il diritto degli edifici di culto, che dal punto di vista geografico risultavano lontani da Montevergine e molto più vicini all’una o all’altra diocesi. È il caso del Goleto, che nel periodo 1632-1642 fu confermato di pertinenza di Montevergine mentre tra il 1749 ed il 1761 fu assegnato a S. Angelo dei Lombardi.
Con il decreto di soppressione degli ordini religiosi regolari emanato da Giuseppe Bonaparte il 13 febbraio 1807 Montevergine, unitamente a Cava e a Montecassino, fu mantenuta come Archivio del Regno, col nome di Stabilimento. La custodia dello Stabilimento di Montevergine fu affidato a venticinque monaci sacerdoti, che dovettero smettere l’abito monastico ed indossare la talare. L’abate Raimondo Morales (1806 – 1846) ne fu nominato Direttore e lasciato come Ordinario, carica che tenne sino all’avvento di Gioacchino Murat (1808) che sciolse la diocesi. Tutti gli altri monaci furono cacciati dalle loro case, quei monasteri dove avevano abitato durante il corso della loro vita e dedicato la loro opera a Dio, in quanto quegli immobili furono incamerati dallo Stato.
Con il ritorno al trono di Napoli di Ferdinando IV di Borbone (prese successivamente il nome di Ferdinando I), il 2 giugno 1815, venne ripristinata la Congregazione; il pontefice Pio VII (1800 – 1823) confermò Montevergine abbazia Nullius. Oltre alla Casa Madre sul monte Partenio e al Palazzo Abbaziale di Loreto, i bianchi figli di San Guglielmo continuarono ad essere presenti a Terranova di San Martino Sannita e vi si aggiunse una casa ad Airola.
Nella seconda metà del XIX secolo si affermò la figura dell’abate Guglielmo De Cesare. Gli anni del generalato del De Cesare furono molto travagliati, in un tempo che vide il definitivo tramonto del Regno di Napoli, in seguito alla spedizione di Garibaldi, e l’annessione al Regno Sabaudo il 27 dicembre 1860. Il novello Stato avviò anch’esso una politica repressiva avverso i monasteri, con la legge del 29 maggio 1855, che abrogò il riconoscimento civile a numerosi ordini religiosi, incamerandone i beni; inoltre, in data 11 giugno 1862, incamerava tutti i beni della Congregazione, apponendo i sigilli alla biblioteca dell’abbazia.
Montevergine fu quindi soppresso come monastero, ma furono assegnate pensioni a monaci e sacerdoti. La grande e potente Congregazione verginiana, nel 1865, era ormai ridotta a soli sette monaci. Lo Stato Sabaudo, ancora, a causa della dispendiosa guerra contro l’Austria, emanò ulteriori leggi di incameramento dei beni ecclesiastici. Con la presa di Roma (1870) tali leggi si estesero anche in quello che era lo Stato della Chiesa. Il De Cesare, tuttavia, riuscì abilmente da Roma a lavorare sottotraccia, in modo brillante e concreto, per evitare di perdere definitivamente 750 anni di storia. Con l’emanazione del Regio decreto n. 3036 del 7 luglio, si appellò ad una articolo (il n. 18) in cui si elencavano alcune eccezioni nell’esproprio (tra queste cattedrali e residenza dell’Ordinario) facendosi riconoscere nelle eccezioni proprio la Badia di Montevergine, sede di Cattedrale ed il Palazzo Abbaziale di Loreto, sede dell’Ordinario. Il Consiglio di Stato decise inoltre favorevolmente in merito all’equiparazione tra Abbazie Nullius e Diocesi. Fece altresì includere Montevergine nell’elenco degli stabilimenti ecclesiastici di monumentale importanza. Il 19 ottobre 1868, dopo il riconoscimento di Monumento Nazionale, fu nominato il Soprintendente nella figura di un monaco.
Con il breve Monachorum familias dell’agosto 1879, il Sommo Pontefice Leone XIII sentenziò l’ingresso di Montevergine nella Congregazione Sublacense. Nel documento viene nominato il primo abate sublacese nella persona di Vittore Corvaja che però ne assunse la carica solo dopo la morte del De Cesare (1884).
Tra gli abati del Novecento non può non essere annoverato Giuseppe Ramiro Marcone, in carica dal 1918 al 1952. Figura di grande spessore, a lui si devono le numerose opere strutturali e sociali, tra le quali la realizzazione della nuova basilica cattedrale, aperta però al culto dall’abate Tranfaglia (1961) ed il riconoscimento nel 1942, dal Santo Padre Pio XII, di S. Guglielmo a Patrono dell’Irpinia.
Durante i dolorosi e interminabili anni della Seconda Guerra Mondiale, con i bombardamenti che interessarono la città di Avellino nel settembre del 1943, le porte dell’abbazia vennero aperte per gli sfollati, per i feriti e per tutte le persone bisognose di cura, assistenza e sostegno. L’abbazia fu inoltre il luogo deputato alla custodia delle più preziose opere d’arte di Napoli e del suo patrimonio librario. Ma di quei luttuosi anni si ricorda soprattutto la presenza al santuario della più importante tra le reliquie: la Sacra Sindone.
Con un decreto della S. Congregazione dei Vescovi del 15 ottobre 1979 e ratificato il 29 novembre successivo, Montevergine cede all’arcidiocesi di Benevento la parrocchia di San Martino Sannita e delle sue frazioni, ricevendo in cambio il territorio del comune di S. Angelo a Scala; rimette inoltre alla diocesi di Avellino la parrocchia di Valle Ponticelli (la frazione era già passata giuridicamente da Mercogliano ad Avellino nel 1854) per riceverne in cambio la parrocchia di S. Nicola a Summonte.
Il 15 maggio 2005, con il decreto Montisvirginis venerabilis Abbatia, emanato dalla Congregazione per i Vescovi, le nove parrocchie ricadenti nel territorio di Mercogliano, Ospedaletto d’Alpinolo, Summonte e S. Angelo a Scala, passano alla diocesi di Avellino. Il santuario/abbazia unitamente alla casa abbaziale di Loreto, resta di pertinenza di Montevergine.
Il 10 febbraio 2013, con decreto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, la Congregazione benedettina Cassinese viene incorporata alla Congregazione Sublacense, che assume il nuovo nome di “Congregazione Sublacense Cassinese dell’Ordine di San Benedetto”.
L’ultimo successore di San Guglielmo e 106° abate è Riccardo Luca Guariglia (2014 – ad multos annos), già economo, direttore del Museo Abbaziale e priore. A partire dal 2014, i benedettini dell’antica abbazia di S. Pietro in Assisi entrano a far parte della famiglia monastica di Montevergine.